sabato 8 settembre 2007

Scelti per voi - I migliori articoli

De Mita attacca: non mi candido, ma indicherò il nome giusto
L' ex segretario dc rinuncia a correre in Campania. «Il mio unico dubbio è se aderire al Pd»

«Per me il dubbio non è se candidarmi o no, è se aderire o meno». La signora in blu seduta in terza fila si fa vedere solo nelle grandi occasioni, e questa lo è. Si chiama Annamaria De Mita, è la moglie dell' ex presidente del Consiglio ed è venuta a godersi lo show sulla piazza di Pontecagnano, titolo (provvisorio) «il passo indietro di Ciriaco». Diluvia, sotto gli ombrelli gocciolanti 600 «parrocchiani» si bagnano per lui e l' editorialista della stampa Federico Geremicca incalza, orologio alla mano. Insomma presidente, togliamoci questo dente, tra venti minuti i quotidiani chiudono, lei non si candida alla segreteria del Partito Democratico in Campania, giusto? «Sì, stasera è così. Stasera non mi candido». Ridono, applaudono, gridano «bravo!» e lui, dosando con antica sapienza pause e battute: «Cari amici, io questa sera mi confesso». Per settimane ha tenuto in scacco i leader del Pd e ancora non molla, un passo indietro e uno in avanti e in mezzo una critica spietata («che non è uno sgambetto per ricerca di visibilità») di come Veltroni e Franceschini e Rutelli e Fassino e Prodi e Parisi, soprattutto Parisi, stanno tirando su la casa comune. Non si sono mai amati, il presidente e il professore. Ma cose così al ministro della Difesa, nonché padre dell' Ulivo, De Mita non le aveva mai dette. «Parisi vince il complesso del bassotto immaginando di volare alto». «Parisi il Pd l' ha costruito non come partito ma come movimento, una sorta di berlusconismo corto. Ma questo ibrido è un pò come chi predica la castità e poi si arrangia sotto banco». E ancora, ancora, ancora. «Tra Berlusconi e Parisi è come far giocare il Milan con la Salernitana, non c' è partita». E infine: «Il teorico della democrazia possibile è finito fuori strada, non mi pare una intelligenza illuminata». Velenoso, divertito, stufo di esser giudicato per l' età e l' accento campano, preoccupato per un Pd che nasce spaccato regione per regione «da uno scontro di sottotribù», un partito che ancor prima di vedere la luce «rischia il naufragio» e se fallisce sono guai: «Si apre una prospettiva non molto piacevole». Dal cielo vien giù a secchiate ma le finestre sulla piazza sono tutte illuminate, la gente se ne sta sui balconi, non vuol perdersi una sillaba e De Mita non li delude, ricorre a tutte le sue arti, attinge alla storia della prima Repubblica e alla filosofia politica. Punzecchia uno e premia l' altro. Elogia il vecchio Letta (Gianni) e dà del «fesso» al giovane, Enrico. Lascia che emerga tutta la sua disistima per Romano Prodi, un premier che traccheggia: «Sono stato tra quelli che prima che si candidasse avvertivano che non era in condizioni di governare». E dà atto a Veltroni di aver detto, due giorni fa ad Agropoli, molte cose sagge: «Uno che sotto l' apparente bonomia capovolge parecchio le categorie dell' analisi politica». Dunque, De Mita non si sfila. Sarà il grillo parlante del Pd, darà filo da torcere giorno per giorno, dirà quello che pensa a costo di dar fastidio a molti. E in Campania ci metterà uno dei suoi, Alfonso Andria o Tino Iannuzzi, deputato fedelissimo. «Io ho deciso di partecipare alla costruzione del Pd in Campania, sono interessato a salvare il disegno, non sono interessato a chi lo fa. Che si chiami Ciriaco De Mita o Pinco Pallino, per me fa lo stesso». Sono le undici e venti, piove ancora e Ciriaco c' è: «Sono per giocare la grande partita e non per un regolamento tra frustrati». Guerzoni Monica, Corsera
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SINDACO E FILOSOFO

Cacciari: niente demagogia, non facciamo i Gentilini
«Capisco i miei colleghi, ma la repressione dobbiamo lasciarla alla polizia»

«Con ordine: di quest' ultima idea, poteri di polizia giudiziaria ai sindaci, se ne parlò nel 1996 con l' allora ministro dell' Interno Giorgio Napolitano. Niente di nuovo. Se ne può anche discutere, basta non metterci sopra un carico di demagogia e populismo». Massimo Cacciari è sull' arrabbiato andante. «Ma siamo diventati tutti matti?». Massimo Cacciari dice che non ha intenzione di litigare con i suoi colleghi di Firenze e Bologna. Però è arrabbiato, e si sente. «Io li capisco. Vanno avanti come Gentilini, a forza di grida. Non hanno i mezzi, e si devono affidare alle scorciatoie». L' idea di avere più poteri di polizia è una scorciatoia? «Veda un po' lei. Io credo che la repressone dei fenomeni criminosi spetta alla polizia, non certo ai sindaci. Ma stiamo scherzando?». Non è che qualcuno ci marcia, con questa storia dei sindaci sceriffi? «Può darsi. A me questa definizione non piace. Come non mi piace la piega che ha preso il dibattito sulla sicurezza. E' ipocrita, ispirato alla politica della polvere sotto al tappeto». Faccia degli esempi. «Partiamo dalle prostitute. Agli ipocriti faccio presente che ci sono in ogni capitale europea». Detto questo, che si fa? «Qui in Italia si affronta il problema allontanandole dai viali cittadini. Vadano a battere in aperta campagna. Qualcuno pensa seriamente che sia un' idea civile, che spostarle da una via all' altra possa essere una soluzione?». Lei come la definisce? «E' un esempio di politica della polvere sotto al tappeto, alla quale si sta conformando tutta la sinistra». Ne è proprio sicuro? «Ma certo. In materia di sicurezza la sinistra è vittima dell' infezione berlusconiana. Sceglie una politica vuota, fatta di grida, di muscoli gonfiati». Proposte alternative? «Prendiamo le prostitute: crei delle strutture, ti affidi a degli operatori di strada che cercano di recuperarle. I nomadi? Non basta cacciarli. Occorre costruire dei campi decenti, serve l' edilizia pubblica. Certo, queste cose non fanno discutere i giornali, non creano un bel dibattito. Meglio le grida, che non risolvono niente ma fanno il solletico alle parti basse della gente». Alcuni suoi colleghi in quanto a grida non scherzano. «E' l' unico modo che hanno per farsi ascoltare. E infatti Amato li incoraggia. Perché per lui è più facile e redditizio dire che il problema sono le prostitute ed i lavavetri, e affrontarlo da sceriffo. Il governo non dà soldi per l' edilizia sociale, taglia i fondi agli operatori sociali. Non rimane che un po' di demagogia, che oltre tutto fa bene alla popolarità». Non condivide, ma capisce. «Li capisco anche troppo, i miei colleghi sindaci. E' duro cercare una politica seria su argomenti per i quali l' insofferenza della gente è altissima. Mezzo milione di euro all' anno per i campi nomadi? I cittadini si scandalizzano, e tu devi spiegargli che la strada è quella, che anche il prefetto è d' accordo. Ma devi anche combattere la carenza di fondi. Una fatica bestiale». Quindi, si prende quella che lei definisce «una scorciatoia», non è così? «E' quello che sta accadendo. Via i nomadi, i lavavetri, le prostitute. E' profondamente sbagliato. E' incivile». Anche lei manda i vigili a scacciare i venditori abusivi. «Certo. Voglio limitare certi commerci, ma non mi illudo che così si risolva il problema. Lavoriamo, facciamo il possibile, senza incrementare l' insofferenza, oggettiva, vera, della gente». E' questo che sta accadendo? «Si sta facendo una politica che oggettivamente finisce per incentivare l' insofferenza della gente. Tolleranza zero. Bella frase, ma che vuole dire? Che l' illegalità non va tollerata. E c' è bisogno di precisarlo?». Magari una volta ogni tanto... «Perfetto. E poi? Le norme non bastano? Se ne facciano delle altre, e che vengano applicate. Ma un politico, che sia sindaco o ministro dell' Interno, si deve porre il problema di quel che sta facendo. Deve studiare le cose, per poter risolvere in modo civile il problema. Non deve aggrapparsi alla repressione. Un politico non deve reprimere, deve cercare di risolvere. Sono due cose diverse». Questo dibattito sulla sicurezza la entusiasma. «Sembra che sia scattato l' imperativo di portare il cervello degli italiani all' ammasso. Mi fa schifo». Il filosofo Massimo Cacciari (foto) è sindaco di Venezia dal 2005: lo era già stato tra il 1993 e il 2000. Imarisio Marco, Corsera

venerdì 7 settembre 2007

Assisi, i popolari di nuovo in gioco

di GIORGIO MERLO
Il recente convegno di Assisi ha contribuito a definire il profilo politico del Partito democratico. Una riflessione che ha sgomberato il campo da molti equivoci e, al contempo, ha rilanciato la politica come elemento determinante del futuro soggetto politico. Era troppo tempo che il confronto interno al Pd era dominato sostanzialmente da gossip giornalistici o da accuse che rasentano il ridicolo. Basti pensare a tutta la retorica sugli “apparati” e sulla “nomenklatura” che è stata adoperata come una clava contro Veltroni e i suoi collaboratori da esponenti che, da sempre, appartengono saldamente alla classe dirigente del partito di riferimento nonché del governo. Ma, al di là di questa osservazione che è destinata a cadere nel vuoto nell’arco di poco tempo, è quantomai necessario e indispensabile che il confronto politico ritorni protagonista attorno ai contenuti e al recupero delle culture politiche fondanti il nuovo soggetto politico. E il convegno di Assisi, seppur “snobbato” dai grandi organi di informazione, ha trasmesso un messaggio chiaro ma inequivocabile: il Partito democratico non può fare a meno della tradizione cattolico democratica e popolare come, del resto, di tutte quelle culture politiche che storicamente contribuiscono a qualificare il riformismo nel nostro paese. Una tradizione che non può essere confusa con una minuscola e insignificante nicchia clericale o una minoranza confessionale destinata ad essere ininfluente nella costruzione della proposta politica del Pd. Con Assisi si è voluta ribaltare anche una prassi recente che aveva ridotto la presenza cattolica ad una semplice delega ai cattolici per affrontare temi di natura etica riconducibili esclusivamente ai problemi di coscienza. Una presenza culturale cioè, titolata ad affrontare i cosiddetti temi eticamente sensibili lasciando ad altri il compito di elaborare le vere ricette politiche, economiche e sociali necessarie per governare l’intero paese. No, i cattolici democratici oggi hanno un’altra ambizione, politicamente rilevante e molto più impegnativa. Si tratta cioè di recuperare lo “spirito costituzionale” che aveva caratterizzato la presenza dei cattolici nella stagione costituente. Una grande disponibilità alla collaborazione con altre forze politiche e, al contempo, una irriducibile vocazione a non disperdere la propria identità culturale ed ideale. «Coscienza di sé e apertura verso gli altri» per dirla con Aldo Moro, in un contesto politico, quello contemporaneo, profondamente diverso rispetto a quello degli anni quaranta ma simile per la domanda di “resurrezione” della politica che sale prepotentemente dalla società. I molti contributi emersi dal dibattito e gli interventi finali di Fioroni e Franceschini hanno sottolineato che il Pd avrà un futuro se riuscirà a essere un soggetto politico plurale, partendo però dal pieno riconoscimento delle varie sensibilità culturali. È indubbio che un partito che aspira ad essere il primo partito italiano non può che essere fortemente articolato al suo interno. Non un correntismo esasperato, come ha giustamente evidenziato Weltroni, ma la capacità di esaltare le diverse posizioni in un disegno politico comune. È inutile pertanto lanciare accuse demagogiche e anche un po’ qualunquiste attorno alla nascita di una “corrente cattolica” nel futuro organigramma del partito. Non c’è traccia di correnti cattoliche nel Pd, perché nessuno – tranne qualche inguaribile clericale che ad Assisi non era di casa – sostiene l’opportunità di trapiantare quell’esperienza politica nella società contemporanea. Semmai, si tratta di saper riconquistare all’impegno politico e di partito quelle riserve etiche, sociali, culturali e morali che sono presenti nell’area cattolica italiana e che continuano a nutrire perplessità e diffidenza nei confronti della politica e dei suoi protagonisti, tanto a livello locale quanto nazionale. La sfida politica è racchiusa proprio qui: nella capacità di reimmettere nel corpo vivo del Pd queste energie, senza ipoteche confessionali e degenerazioni clericali. Certo, spiace che alcuni esponenti che sino a ieri erano espressione autentica e vera di quella tradizione abbiano oggi rinunciato a metterla in gioco insieme sacrificandola sull’altare della centralità degli organigrammi interni del partito. Aveva ragione il presidente del senato Marini quando, commentando il convegno di Assisi, ha rilevato che il mondo popolare e cattolico democratico era tutto presente nella cittadina umbra, con quella ricchezza variegata e articolata fatta di uomini e donne impegnate nel sociale, nelle parrocchie, nei gruppi politici, nelle amministrazioni locali e nelle professioni. Un mondo che oggi vuole essere protagonista nella politica, e il Pd può essere una risposta duratura e credibile se saprà essere un luogo politico autentico e trasparente dove nessuno può rivendicare sciocche egemonie e futili primogeniture. Pertanto, l’unità della tradizione cattolico democratica e popolare rappresenta un elemento di forza e di coraggio per il Pd che non può ridursi a una sommatoria di sigle, quote, rivendicazioni territoriali, anagrafiche e territoriali. Il ritorno della politica continua a essere l’elemento decisivo per fare del Pd la scommessa vincente non solo per il centro sinistra ma per lo stesso rinnovamento della politica italiana. Del resto, la grande attesa per il decollo del Pd non risponde soltanto a un fatto numerico o di semplificazione del quadro politico ma anche, e soprattutto, al tentativo di voltar pagina per una politica autenticamente laica, riformista e fortemente innovativa nelle sue modalità organizzative. E, sotto questo profilo, la cultura cattolico democratica e popolare può essere una carta decisiva. Purché prevalga la politica e una rinnovata e disponibilità al confronto e al dialogo con altre tradizioni culturali ed ideali. Il convegno organizzato dalla rivista Quarta fase ad Assisi ha contribuito in modo significativo a intraprendere quel cammino. Ora occorre dar gambe a quella “forza delle idee” che resta la vera specificità del cattolicesimo politico nel nostro paese.

GIORNI D’EUROPA 2007
Verso il partito democratico
Costiera Amalfitana e Cilento 3 – 8 Settembre 2007
Il programma dell'ultima giornata

SABATO 8 SETTEMBRE

Pontecagnano – Piazza Sabbato
Ore 10:00 La riforma dell’ordinamento giudiziario
Intervengono: Pietro Carotti (Presidente Collegio Probiviri DL-La Margherita),
Clemente Mastella (Ministro della Giustizia), Daniela Melchiorre
(Sottosegretario Ministero della Giustizia), Maretta Scoca (Avvocato),
Lanfranco Tenaglia (Deputato Ulivo), Luigi Zanda (Vice Presidente Gruppo
Ulivo Senato)
Modera: Dino Martirano (Il Corriere della Sera)

Vietri sul Mare – Piazza Amendola

Ore 11.00 Verso le Primarie per il Partito Democratico
Intervengono: Antonello Giacomelli (Responsabile Dipartimento Enti Locali
DL-La Margherita), Donato Mosella (Capo Segreteria Politica Francesco
Rutelli), Nicodemo Oliverio (Responsabile Dipartimento Organizzativo DL-La
Margherita), Rino Piscitello (Esecutivo DL-La Margherita), Italo Tanoni
(Esecutivo DL-La Margherita)
Modera: Paolo De Luca (Rai)

Pontecagnano – Piazza Sabbato

Ore 12:00 Ambiente ed energia: l’innovazione per affrontare la sfida di
Kyoto
Intervengono: Gaetano Colucci (Eni-Responsabile per i rapporti con il
Governo), Francesco Ferrante (Senatore Ulivo), Andrea Losco (Parlamentare
Europeo), Roberto Malaman (Direttore Generale Autorità per l’Energia
Elettrica), Salvatore Margiotta (Deputato Ulivo), Marco Stangalino (Edison-
Responsabile asset elettrici Italia), Marco Stradiotto (Sottosegretario Ministero
Sviluppo Economico), Andrea Valcalda (Enel-Responsabile Progetto
Innovazione Ambiente)
Modera: Claudio Marincola (Il Messaggero)

Pontecagnano – Piazza Sabbato

Ore 17:30 Patto per la crescita e la competitività
Intervengono: Maurizio Beretta (Direttore Generale Confindustria), Raffaele
Bonanni (Segretario Cisl)
Modera: Alberto Orioli (Il Sole 24 ore)
Pontecagnano – Piazza Centola

Ore 18.30 Conclude Francesco Rutelli
A seguire concerto di Massimo Ranieri

Il Blog riprende le attività

Rieccoci qui, dopo qualche mese di stop. Purtroppo portare avanti un blog non è mai facile. Scusandoci con i (pochi) visitatori, speriamo di essere un po' più costanti nell'aggiornamento...
Grazie a buona lettura!

mercoledì 4 aprile 2007

"Il Partito Democratico? Sia un grande fatto popolare"

Il Partito democratico “deve essere un grande fatto popolare” e non una semplice sommatoria tra Ds e Margherita, anche se a questi due partiti deve essere riconosciuta “l’immane portata del lavoro che si è fatto, il coraggio dell’impresa rispetto alla conservazione degli equilibri esistenti”. È quanto ha scritto il leader della Margherita, Francesco Rutelli, in un intervento sul quotidiano del partito ‘Europa’.
“Penso che ogni settimana che passa - scrive il vice premier - confermi la necessità e la validità della scelta del Pd. Chi si aspettava un “rompete le righe” nel campo del centrodestra ha subito una controprova significativa: Berlusconi è lì, ed è il leader di riferimento”. “L’unica maniera credibile - prosegue - per porre termine all’infinita transizione della Repubblica è politica: far nascere il Pd, creare il baricentro delle riforme, della modernizzazione, del cambiamento”.
Secondo Rutelli il nuovo soggetto ha “una potenzialità considerevole”, ma “ci sono rischi molto grandi: primo tra questi un processo di nascita del Pd autoreferenziale, chiuso all’interno dei due partiti fondatori”. Secondo il leader della Margherita quindi “si tratta di lavorare adesso per dare qualità e slancio alla decisione, una volta che essa è a portata di mano”. Rutelli ribadisce quanto ha affermato nei giorni scorsi, e cioè che “il Pd non deve essere un seguito della vicenda del Pc-Pds-Ds: sarà un partito nuovo, anche nella proiezione europea e internazionale. Né una creatura da salotto, deve essere un grande fatto popolare, e attento alle esigenze dei ceti popolari”. Un’altra caratteristica del Pd sarà quella di non essere né laicista né clericale, bensì “autenticamente aperto alla ricchezza plurale della società italiana”. Rutelli conclude sottolineando che i congressi di aprile dei Ds della Margherita dovranno “suscitare attese e passioni, rinnovare speranza”.

lunedì 26 marzo 2007

Venerdì il congresso regionale




La Margherita: abolire l'Ici per la prima casa

Abolire l’Ici sulla prima casa e introdurre un’aliquota a tassazione separata del 20% sugli affitti. È questa la proposta uscita oggi dall’esecutivo della Margherita. “Si può fare subito, anche per decreto” ha detto l’ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, uscendo dalla riunione. “Abbiamo avviato una riflessione sul futuro Dpef e una verifica sullo stato d’attuazione della finanziaria e il suo impatto sui processi di crescita, prendendo atto di quanto emerso dalla trimestrale di cassa - spiega il coordinatore dell’esecutivo dei Dl, Antonello Soro - da questa analisi è emersa con evidenza che vi è un grave ritardo nell’applicazione delle misure contenute nella manovra a sostegno dell’impresa, che dovranno andare rapidamente a regime”. “Per quel che riguarda il cosiddetto extragettito - prosegue Soro - il risultato positivo è dovuto a una pluralità di fattori, come le misure strutturali adottate e una ritrovata cultura della legalità contributiva”. “Occorrerà, sottolinea Soro, fare un approfondimento sulla quantità di risorse effettivamente disponibili e sulle misure adottabili, tenendo conto dell’equilibrio dei conti. Ma, sottolinea l’esponente dei Dl “è importante oggi spingere sul sostegno alle persone e alle famiglie, come abbiamo privilegiato in finanziaria le imprese e uno snodo delle politiche della famiglia è certamente la casa”. Un alleggerimento fiscale sulle prime abitazioni presenta, quindi, per Soro due vantaggi: “Sostiene il reddito delle famiglie e libera risorse per far ripartire i consumi per lungo tempo stagnanti”. L’esecutivo della Margherita quindi sposa e ribadisce l’indicazione formulata da Romano Prodi nel suo discorso per la fiducia in Parlamento, che indicava proprio l’abolizione dell’Ici nella prima casa e un’aliquota al 20% tra i provvedimenti prioritari del governo nei prossimi mesi. “È chiaro che un intervento del genere - sottolinea Soro - andrà congeniato in concertazione con il sistema delle Autonomie locali'”.